Thailandia
Il mio primo viaggio in solitaria zaino in spalla.
Fra noodles, mosquitos e meditazione, un viaggio alla ricerca della felicità.
Cambi di programma
Il mio ex capo un giorno mi disse: “I biglietti aerei sono fatti anche per essere cambiati”. Aveva ragione, o meglio, mi fece sentire meno in colpa.
Il 18 luglio 2018 avevo un volo di sola andata per Bangkok. Dopo svariate notti insonni a 3 giorni dalla partenza lo spostai: da un lato avevo una gran paura di partire, dall’altro, avevo un grande desiderio: un viaggio in bici in solitaria. E così partii per le Alpi.
Poi arrivò di nuovo il giorno della partenza per la Thailandia. Era il 4 settembre e non avevo più scuse. Dovevo affrontare la mia paura più grande, che però in fondo era anche un sogno: un viaggio zaino in spalla dall’altra parte del mondo.
Angelina, ma paura de che? Io ci metterei la firma per fare un viaggio così.
Ah sì? Perché non eri tu a dover partire, rispondevo.
Questa sono io, mentre dall’ufficio sto comprando il biglietto aereo. Ho le mani nei capelli perché ero terrorizzata.
Avevo appena chiesto un’aspettativa non retribuita di sei mesi e stavo comprando un biglietto senza viaggio di ritorno. Erika, una mia ex collega, mi scattò questa foto dicendo: sono certa che un giorno riderai riguardandola. Ma io ai quei tempi non lo sapevo 🙂
L’itinerario
3 giorni nella caotica Bangkok tranquillizzando le mie emozioni e poi via alla scoperta del nord. Un itinerario abbastanza classico, viaggiando in treno e autobus e visitando i siti archeologici più noti.
Iniziavo a conoscere altri backpackers, ma fra timidezza e inglese scarso, le mie capacità di socializzazione erano sottoterra, inserirmi in un gruppo era più difficile che scalare un passo alpino. E quelle volte che ci riuscivo probabilmente apparivo come una looser, antipatica e asociale.
Dal viaggio in bici sulle Alpi però avevo imparato a convivere con la mia solitudine, e avevo capito che era meglio fare le cose da sola, piuttosto che non farle affatto. E poi iniziato ad ascoltarmi di più, a stare con le mie emozioni e osservare ciò che mi stava attorno. Mi piaceva molto leggere le frasi che mi capitavano davanti agli occhi, come se dovessero comunicarmi qualcosa. Un giorno lessi questa frase: you will never walk alone. Mi trasmise fiducia e ottimismo.
Qualche giorno dopo nel mio ostello entrò un ragazzo con un mega zaino. Mi sento chiamare dal tipo della reception: c’è un ragazzo italiano!
Così ho conosciuto Andrea, il mio primo vero amico di questo viaggio (ndr che rincontrai dopo qualche mese in Australia).
Gli avevo raccontato che volevo andare in un monastero, e capii che pure lui come me era alla ricerca di risposte e decise di unirsi.
Di monasteri in realtà ne visitammo due, il primo un po’ per caso, ma fu l’inizio di un percorso interiore, che tutt’ora mi accompagna.
Vivere in un monastero buddhista
Ci sarebbe da aprire un capitolo a se stante sulla filosofia buddhista, sulla meditazione di quello che è stato per me trascorrere del tempo all’interno di un monastero. Per questo ho creato una sezione del blog tutta dedicata alla Thailandia dove un po’ alla volta pubblicherò i contenuti.
Nel frattempo scrivo qui il nome del monastero internazionale in cui sono stata: si chiama Wat Pa Tam Wua. E’ un posto incantevole speciale e auguro a tutti di poterci passare almeno una settimana.
Vuoi saperne di più?
Se vuoi consigli sui posti che ho visitato o su come si vive in un monastero buddhista, scrivimi, sarò felicissima di rispondere ad ogni tua curiosità!