Nepal

Un tuffo nella storia, un viaggio alla ricerca di me.
In un paese dove tutto sembra precario e sono ancora visibili le ferite del terremoto, affronto la parte più difficile e magica del mio viaggio.
Namasté Nepal
Namasté: puoi pronunciare o sentire questa parola centinaia di volte in un giorno. Viene utilizzata come saluto, sia quando ci incontra, sia quando andiamo via, spesso congiungendo le mani a preghiera e letteralmente deriva dal sanscrito e si traduce come “mi inchino a te” o in modo più profondo: le qualità divine che sono in me si inchinano alle qualità divine che sono in te.
Viaggiare in Nepal: non solo trekking
Prima del partire per il mio viaggio molti mi dicevano “Non stare a programmare tutto, follow the flow”. Segui il flusso degli eventi, lasciati trasportare.
Dopo la Thailandia avrei dovuto prendere una barca, navigare per due giorni il Mekong e raggiungere il Laos per poi proseguire verso il Vietnam. Avevo pure comprato una guida sul Laos, mentre il Nepal non era certo fra i miei programmi. E invece…
Non mi dire Angelina, hai cambiato di nuovo programmi?!
Ehm… sì, e ti di devi abituare!

Mi sono trovata così su un aereo per Kathmandu insieme a Gawan, un ragazzo conosciuto nel monastero in Thailandia. Le nostre strade per vari motivi si separarono sin dai primi giorni e io mi ritrovai da sola nel paese più povero in cui fossi mai stata, in una Kathmandu caotica e polverosa, nella patria del trekking (cosa che non era molto nelle mie corde) e sempre osservata dagli uomini, perché li vedere una donna che viaggia da sola fa proprio strano!
La parte più difficile del viaggio
Il Nepal è stata senza dubbio la parte più difficile del mio viaggio. Ci ho messo un po’ ad apprezzarlo e rielaborare quel mese vissuto lì.
Nell’unico paese al mondo a non avere una bandiera quadrangolare e dove il fuso orario è in 15 minuti e non in ore, avere una doccia calda o la carta igienica in bagno, sono cose tutt’altro che scontate e attraversare la strada è un atto di coraggio.
Ma il Nepal è anche quel paese dove trovi fiori per terra davanti alle porte come auspicio di buona fortuna e dove alzando il naso in una giornata limpida puoi ammirare montagne alte oltre 8000m.

Il mio quasi mese in Nepal non è stato semplicissimo.
Ho affrontato un trekking col mal di pancia e dormito in posti tutt’altro che confortevoli.
Ho parlato con uomini che mi approcciavano proprio per il mio essere donna e non perché volessero aiutarmi davvero.
Ho viaggiato da sola su autobus trasandati e affollati, dove ero l’unica turista, senza sapere bene dove fossero diretti, fidandomi delle loro indicazioni e sopratutto degli autisti, che guidavano senza paura su strade precarie e pericolose, ma che per loro sono la vita.
Volevo conoscere meglio il buddhismo tibetano e invece ho scoperto l’induismo con la fortuna di essere lí proprio nel periodo del Dashain Festival.
E ho visto corpi bruciare durante le cremazioni e nello stesso luogo persone cantare e ballare.

Ho mangiato con le mani il Dal Bhat, il loro piatto tipico tutti i giorni uguale, ma così ricco di sapori.
Ho visto l’università, e mentre a me sembrava un luogo abbandonato a se stesso, per la mia guida Goma era un luogo di speranza e futuro.
Sono rimasta affascinata dalla vita lenta e faticosa delle campagne e da come basta una corda che si appoggia sulla fronte per portare sulla schiena piegata, carichi di ogni peso e dimensione, non importa se sia un sentiero di montagna o un vicolo di Kathmandu. Una corda, ma anche tanta forza di volontà.

Namasté Nepal, è stato difficile, intenso ed emozionante fino all’ultimo, ma non posso che ringraziarti per quello che mi hai insegnato.

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